Approfondimento
-
6/05/2022
Consigli dell'Agorateca #3
Film a caso con un perché
Scritto da: Redazione Agorateca

Il segreto di Pollyanna – Pollyanna
Di David Swift
Commedia, drammatico, per famiglie | Colore | Stati Uniti | 1960 | 134’
Con Hayley Mills, Jane Wyman, Richard Egan, Karl Malden, Nancy Olson.
Consigliato: per tutti. In particolare per chi vuole farsi trasportare dall’allegria travolgente di una ragazzina la cui energia non ha fine.
Limite di età: per tutti.
Parole chiave/curiosità: allegria, gioia di vivere, ottimismo, cambiamento.
Tratto da un classico della letteratura per ragazzi, Pollyanna di Eleanor H. Porter.
Dedicato a: chi sa trovare qualcosa di positivo in qualunque situazione.
C’è chi vive e chi recita. C’è chi cammina, guarda e vive tutto quello che c’è e accade con il cuore e gli occhi che ridono e piangono di stupore, di commozione. E c’è chi cammina, scruta e misura. Le case come gabbie dello zoo, il mondo come il cortile di un carcere, dove oltre un certo orario nessuno deve essere in giro e dove non è permesso parlare secondo amore e libertà.
Pollyanna attraversa il mondo e con i suoi semplici occhi “scopre ognuno tal quale è realmente / e non per quello che vuol dare a parere”. E così la piccola cittadina di Harrington, irrigidita in una polvere decennale di tradizioni che incatenano, paure e maldicenze che soffocano, viene scossa, risvegliata e ripulita dal passaggio di questa giovane orfana adottata dalla zia come se fosse un vivace vento violento. Pollyanna semplicemente parte da quello che c’è. Non sa che “non si dovrebbe” mangiare la bistecca col gelato e nemmeno che la passione per il gelato è un vizio per golosi che non si addice al suo status di nobiltà. All’uomo che le chiede con ironia “Il gelato?! Ma come si spiegano queste inclinazioni per certa robaccia?” lei risponde, senza problemi “Ah non lo so! Ma per piacermi mi piace”.
Il babbo, che era un pastore, le ha insegnato a non dire mai bugie, a guardare le cose per quello che sono, a cercare il significato e il valore dell’esserci nei piccoli fatti quotidiani, dietro e oltre la loro apparenza. Le ha insegnato che nessuno è padrone di una chiesa e nemmeno dei cuori della gente. Le ha insegnato che “quando vai in cerca del male nel genere umano aspettandoti di trovarcelo, senza dubbio lo troverai” e anche che nella Bibbia ci sono 800 passi sulla gioia e che “se il buon Dio si è disturbato di dirci 800 volte di essere lieti, voleva proprio che lo fossimo”.
E le ha anche insegnato – e lei in questo riesce benissimo – che è possibile che, guardando le persone così come sono quando ti capitano davanti, accada quel piccolo miracolo per cui dietro dei volti già noti, proprio quel giorno, ti si fa incontro quella bellezza che sia tu che loro aspettavate per risorgere dal mondo di schemi e sospetto in cui per pigrizia e cinismo spesso ci adagiamo.
Picnic ad Hanging Rock – Picnic at Hanging Rock
Di Peter Weir
Drammatico, poliziesco | Colore | Australia | 1975 | 115’
Con Rachel Roberts, Helen Morse, Tony Llewellyn-Jones, Jacki Weaver, Anne-Louise Lambert.
Consigliato: a chi desidera perdersi nella natura selvaggia cercando di scoprire la verità.
Limite di età: a partire dai 16 anni.
Parole chiave: natura selvaggia, cultura, mistero, 1900, Australia.
Dedicato: a chi si interroga sulla imperscrutabile profondità dell’animo umano, che nei momenti più inaspettati rischia di esplodere in slanci tanto inattesi quanto generosi.
“Sabato 14 febbraio dell’anno 1900 un gruppo di allieve del collegio Appleyard andò in picnic a Hanging Rock, località australiana nello stato del Victoria. Di ciò che accadde allora, questo film è il resoconto”. Sia l’introduzione alla pellicola che il titolo focalizzano un fatto: il picnic a Hanging Rock, e solo di questo si narrerà nel film. In una vellutata atmosfera onirica (favorita dall’uso pulviscolare e sfumato della luce e della messa a fuoco e dal flauto di pan che costituisce il tema musicale dominante), Weir ci introduce nel clima soffocato ma trepidante di un gruppo di collegiali che si prepara a una gita fuori porta, sognando di amori e corteggiamenti ai quali l’educazione vittoriana lascia ben poco spazio espressivo. Lasciando il collegio, le ardenti e inesperte fanciulle varcano la soglia di un altro mondo, dove il senso del sublime tipico dell’epoca romantica sopraggiunta alla “allacciata” epoca vittoriana pervade lo spazio. La sproporzione dell’uomo e della sua ragione davanti all’immensità dei picchi montuosi e all’infinito brulicare di insetti, uccellini e serpenti emerge nei termini di una sconosciuta fragilità. Gli orologi, primo simbolo del dominio dell’uomo sull’andamento delle cose, si bloccano e, se da un lato permettono l’abbandono dell’uomo al fascino misterioso della natura, lo rendono anche – in qualche modo ancestrale – sua vittima.
La perfezione di Weir, regista australiano che proprio nel 2011 ci ha commosso con il bellissimo The way back, sta tutta nel rendere la presenza invadente e alfine dominante del mistero. Il suo film non è che il resoconto di un fatto, un fatto tuttavia totalmente inspiegabile. La domanda che resta, nell’impotenza che si sperimenta di fronte alla pellicola, è se questo potentissimo mistero, al fondo, possa diventare una strada dell’uomo per il suo rapporto con l’Assoluto o se sia semplicemente una imbattibile forza schiavizzante.